Transazione digitale: disintermediazione, data empowerment e innovazione

Oltre a schematizzare le fasi della trasformazione digitale dell’azienda, Geyer e Niessing riflettono sul legame fra transazione digitale, disintermediazione relazionale o transazionale, raccolta di dati, elaborazione di informazioni azionabili e cicli miglioramento continuo o innovazione.
Invito alla lettura dell’interessante libro di Fred Geyer, Joerg Niessing, The Definitive Guide to B2B Digital Transformation: How to Drive Uncommon Growth by Prioritizing Customers over Technology, 2020

Oltre a schematizzare le fasi della trasformazione digitale dell’azienda, Geyer e Niessing riflettono sul legame fra transazione digitale, disintermediazione relazionale o transazionale, raccolta di dati, elaborazione di informazioni azionabili e cicli miglioramento continuo o innovazione.

Invito alla lettura dell’interessante libro di Fred Geyer, Joerg Niessing, The Definitive Guide to B2B Digital Transformation: How to Drive Uncommon Growth by Prioritizing Customers over Technology, 2020


Nell’incipit del libro, anche Geyer e Niessing sottolineano le peculiarità del settore B2B rispetto al B2C:

  • La presenza persistente di intermediari
  • La molteplicità di influenzatori e decisori, ognuno dei quali è caratterizzato da ruolo e processo decisionale distintivi
  • L’innesco di dinamiche relazionali all’interno del gruppo di influenzatori e decisori
  • La differenziazione per segmenti di clienti di tempi e metodi decisionali (per esempio grandi imprese e PMI)
  • La portata medio-lunga dell’impatto delle decisioni di acquisto su strategie e operatività dell’azienda.

Tuttavia, pur nel permanere delle differenze fra B2B e B2C, la consumerizzazione del settore business e il ricambio generazionale stanno modificando il modo in cui i buyer consumano i contenuti, si relazionano con i fornitori e prendono le decisioni. Come nel settore consumer, anche nel B2B gli acquirenti privilegiano i canali digitali disponibili 7/7 H24, automatizzano gli acquisti di routine (il riordino di prodotti correnti, di consumabili e ricambi, di kit di manutenzione, ecc.), usufruiscono di servizi di self-care e di l’auto-formazione.

Anche quando la transazione avviene tramite intermediari, i buyer si aspettano di poter disintermediare la comunicazione, cioè di poter entrare in contatto diretto con il produttore (l’importatore o il distributore di primo livello) nelle fasi di pre-vendita e in quelle di post-vendita, soprattutto quando gli intermediari non sono in grado fornire supporto adeguato.

Per il produttore si tratta dell’occasione per instaurare una relazione diretta con l’utilizzatore finale, che non implica necessariamente la disintermediazione della transazione, ma che gli permette di raccogliere di prima mano esperienze, informazioni e dati utili ad alimentare i cicli di miglioramento continuo e di innovazione di prodotti/servizi, modelli di business e proposte di valore.

Disintermediare la relazione con l’utilizzatore finale per il produttore significa avere la possibilità di:

  • Fornire informazioni validate, rilevanti e personalizzate
  • Raccogliere o avere accesso a più dati (dati relativi al profilo; dati relativi al comportamento da motori di ricerca, utilizzo del sito e dell’e-shop, interazioni sui social media, report del servizio clienti/tecnico all’interno del CRM, ecc.; informazioni relative alla percezione, frutto del dialogo con l’ufficio vendite, con il servizio clienti/clienti e/o dell’ascolto dei canai social; dati provenienti da oggetti smart dell’IoT, ecc.)
  • Aggregare i dati (anche per mettere in relazione i dati dei singoli utenti con quelli dell’azienda a cui fanno capo)
  • Elaborare i dati per trasformarli in informazioni azionabili.

Superare il monopolio degli intermediari su dati e informazioni riguardanti gli utilizzatori finali è strategico per il produttore, poiché gli permette di entrare in possesso di una delle materie prime fondamentali per:

  • Alimentare il processo di apprendimento dagli utilizzatori (comprensione di prima mano di esigenze, problemi e difficoltà [Geyer e Niessing osservano che l’utilizzatore può non comprendere la proposta dell’azienda; oppure conoscere e comprendere la proposta, ma non percepirne i benefici; oppure avere difficoltà a procedere all’acquisto a causa di tempi, costi e/o rischi correlati, ecc.], aspettative, desideri, motivazioni, ecc.)
  • Guidare e automatizzare le attività di marketing e vendita
  • Innescare cicli di miglioramento o innovazione
  • Migliorare il supporto agli intermediari
  • Creare partnership innovative, basate su scambio e integrazione di dati e informazioni.

È innegabile che la comunicazione diretta fra utilizzatore finale e produttore rappresenti potenzialmente il trampolino per passare dalla disintermediazione relazionale a quella transazionale. Secondo Geyer e Niessing l’attuazione o meno di questo passaggio dipende dal valore che l’utilizzatore attribuisce all’intermediario, soprattutto in termini di servizio di prossimità, contributo consulenziale e capacità di mettere a sistema prodotti/servizi.

Qualunque sia il suo esito, la trasformazione digitale ridisegna i rapporti fra utilizzatore finale, intermediario e produttore. Geyer e Niessing sottolineano che – oltre alla disintermediazione transazionale completa dell’intermediario – la trasformazione digitale apre al produttore diverse strade alternative:

  • Supportare gli sforzi di marketing e vendita degli intermediari, alimentando con contenuti validati le loro piattaforme digitali. Una soluzione non ideale, poiché non permette all’azienda di accedere a dati generati dagli utilizzatori, ma che comunque può rivelarsi opportuna, perché l’intermediario ha convenienza a privilegiare fornitori in grado di veicolare senza attrito informazioni corrette all’utilizzatore finale
  • Disintermediare la fase di lead generation, passando di mano il contatto qualificato all’intermediario per la sua conversione e l’avvio della relazione transazionale
  • Disintermediare la vendita di vendita di prodotti semplici, che richiedono poca personalizzazione e poco servizio. Già questa mossa si riflette in modo potenzialmente negativo sugli intermediari: più perdono la vendita di prodotti, mantenendo quella dei servizi collegati, più rischiano di vedere ridotti i propri margini, dato che l’erogazione del servizio è un’attività tendenzialmente complessa ad alta intensità di lavoro
  • Vendere direttamente gamme di prodotti di minore interesse per gli intermediari
  • Creare marchi ad hoc per la vendita diretta
  • Vendere direttamente a segmenti diversi da quelli serviti dagli intermediari. Diversi, per esempio, per dimensione, nicchia, adiacenza di settore, ecc.
  • Passare dalla logica della fornitura di prodotti a quella della co-creazione di soluzioni, che coinvolge attivamente e integra destinatario finale, varie funzioni aziendali ed eventualmente parti terze. Geyer e Niessing sottolineano che la co-creazione di soluzioni implica la condivisione fra le parti di un orizzonte temporale medio-lungo: una volta rassicurati sulle strategie future dell’azienda, sull’accessibilità ai dati, sulla longevità dell’azienda, ecc., gli interlocutori si sentono rassicurati dall’allungamento della prospettiva relazionale, soprattutto oggi, nell’instabile era del digitale. Si tratta quindi di un’ottima base su cui impostare una crescita aziendale sostenibile, improntata alla creazione di una win-win situation per l’azienda e i suoi interlocutori.

Geyer e Niessing individuano tre fasi della trasformazione digitale, accomunate dalla centralità del data empowerment, dell’abilitazione digitale del modo di lavorare dell’azienda e dal fatto che la tecnologia non deve guidare, ma essere al servizio delle scelte strategiche, organizzative, formative e operative. Ecco le tre fasi in dettaglio:

  • Digital selling shift. Se la value proposition è valida anche nel contesto digitale, si tratta del primo passo da compiere per ampliare online la base dei clienti. Strumenti: marketing digitale, content marketing, DEM
  • Digital experience makeover. Se la value proposition è valida anche nel contesto digitale e se l’azienda dispone già di una base di clienti ampia, si tratta del secondo passo da compiere per incrementare online frequenza di acquisto e scontrino medio. Gli autori invitano a non trasformare mediocre interazioni analogiche in pessime interazioni digitali, ma a ripensare l’esperienza utente, usando le tecnologie digitali come attuatori. Ovvero: non sono le tecnologie digitali a guidare la riprogettazione della user experience, ma: l’approccio ecosistemico alle fasi di acquisto, fidelizzazione e raccomandazione; problemi, esigenze, aspettative e sogni di insiemi omogenei di utenti; ruoli, persone, processi e dinamiche relazionali sollecitati all’interno e all’esterno dell’azienda (chi, che cosa, in quale fase, perché); esigenze e disponibilità di dati e informazioni scambiati fra le parti; leggi, norme e tendenze, anche di altri settori
  • Digital proposition pivot. Innovare la value proposition in modo coerente al contesto digitale può essere il terzo passo da compiere oppure il primo, nel caso in cui la value proposition sia obsoleta. Come dicono efficacemente gli autori è saggio “non innovare il fax, quando le persone vogliono l’e-mail”. All’interno dell’azienda, la value proposition assolve al compito di orientare le decisioni di alto livello, mentre nei confronti dei clienti rappresenta uno strumento per comunicare l’impegno rilevante, attuale e futuro, dell’azienda nei loro confronti, gli elementi di distinzione rispetto ai concorrenti, la loro traduzione in benefici per il cliente e in effetti misurabili di tali benefici (indicando i KPI che permettono ai clienti di calcolare il ROI della relazione con l’azienda), i valori fondanti e i fattori abilitanti, cioè come e perché l’azienda prevede di poter raggiungere quanto promesso.

Lascia un commento