Perché e come usare i fumetti nella comunicazione tecnica e di prodotto

I manuali di istruzioni di Antonio Carraro S.p.A. (“leader mondiale nella produzione trattori compatti per l’agricoltura specializzata e per il settore civile” https://www.antoniocarraro.it/it) hanno una caratteristica che balza subito all’occhio: sono ricchi di vignette in cui è impossibile non immedesimarsi nei trattori antropomorfizzati e nei cartoon di agricoltori, tecnici e personaggi di contorno. Finiamo così per leggere con attenzione i testi che ci spiegano come dare una mano ai nostri beniamini e per imparare in modo dilettevole come usare e manutenere il nostro trattore.

Ma perché i fumetti catturano la nostra attenzione? Perché ci immedesimiamo nei personaggi? Perché, rivivendo le loro storie, finiamo per imprimerle nella nostra memoria e apprendere in modo ludico anche informazioni utili?

L’approccio di Antonio Carraro S.p.A. non è una novità assoluta. Già in passato vi furono esperienze di uso del fumetto per formare tecnici e forza vendita delle aziende, per promuovere i prodotti/servizi e per istruire gli utilizzatori.

L’esempio più famoso è forse il PS Magazine (PS, The Preventive Maintenance Monthly), che dal 1950 al 1971 fu plasmato dalla penna del famoso fumettista statunitense Will Eisner. “PS” sta per “postscript”, poiché la rivista era pensata come compendio ai manuali classici di manutenzione dell’equipaggiamento militare.

Consapevole della forza comunicativa del fumetto, Eisner trasforma i contenuti più tecnici in puro intrattenimento educativo, cogliendo un successo immediato e trasversale alle varie fasce di lettori – al di là delle critiche di lesione della dignità dei soldati e di sessismo che si attirò nel tempo. Come afferma Sherry Steward nella sua tesi di dottorato del 2004 “A Rhetoric of Technology: The Discourse in US Army Manuals and Handbooks”, per esempio l’antropomorfismo dell’equipaggiamento militare aiutò i soldati a “entrare in connessione con la tecnologia … l’equipaggiamento personificato spesso esprime rabbia, tristezza, paura e felicità, facendo così appello al senso di responsabilità del lettore”. L’empatia funge da stimolo per avere cura dell’equipaggiamento. Ecco un esempio del PS Magazine liberamente sfogliabile online: https://issuu.com/ds3k/docs/them16a1rifle-manualwilleisner

Negli Stati Uniti degli anni Cinquanta il fumetto rientrava nel portafoglio della comunicazione tecnica e di prodotto di non poche aziende. Ricorreva, per esempio, nei manuali utente di Caterpillar Tractor (esempio: https://issuu.com/zeppelingmbh/docs/operators_handbook_caterpillar_inc_1950), di Koppers Company e di Hyster Lift Truck; nei manuali officina di International Harvester Company; nei materiali formativi interni di Hyster Lift Truck, Johnson&Johnson, Bell Telephon Company e Railway Express, ecc.

Ma quali sono i meccanismi che presiedono al successo del fumetto? Perché i fumetti catturano la nostra attenzione? Perché ci immedesimiamo nei personaggi? Perché, rivivendo le loro storie, finiamo per imprimerle nella nostra memoria e per apprendere in modo ludico anche informazioni utili?

In particolare il primo libro (Capire il fumetto) del volume di Scott McCloud “Capire, fare e reinventare il fumetto” (Milano, Bao Publishing, 2018) ci aiuta a rispondere a queste domande. A proposito: il libro è un bellissimo fumetto di edutainment!

Sulla scorta di Will Eisner, Scott McCloud definisce il fumetto come insieme di immagini statiche giustapposte in una sequenza spaziale intenzionale.

Il vocabolario del fumetto si muove nello spazio che si crea fra immagine pura (arte, forme valide in sé), astrazione (concetti, linguaggio) e realismo.

La combinazione tra immagine e parola non è necessaria alla definizione del fumetto, benché essa abbia condizionato la crescita del fumetto a partire dall’Ottocento. Nel XIX secolo, infatti, dopo un lungo periodo di progressivo allontanamento, parola e immagine tornano ad avvicinarsi, invadendo pacificamente l’una il campo dell’altra: la parola (astratta) tende a rivolgersi maggiormente alla realtà, mentre l’immagine (realistica) esplora le sue capacità di rappresentare l’astratto.

I personaggi dei fumetti, spiega Scott McCloud, non sono icone (immagini astratte di significato fisso e convenzionale), né figure (più o meno aderenti al modello reale), ma sono cartoon. Il tratto più evidente del cartoon è l’essere una forma di amplificazione attraverso la semplificazione: il disegnatore si astrae dalla somiglianza al reale per concentrare la nostra attenzione sui dettagli che rafforzano il significato della comunicazione.

Ma Scott McCloud coglie un aspetto più profondo della capacità del fumetto non solo di attirare la nostra attenzione, ma di farci immedesimare nei personaggi. Mentre l’immagine realistica ha un potere oggettivante (nel senso che percepiamo come altro da noi quanto raffigurato), l’essenzialità del cartoon è affine alla forma di consapevolezza che abbiamo del nostro volto, del nostro corpo e delle nostre estensioni quando interagiamo con le persone e con l’ambiente che ci circonda. Non ci vediamo realisticamente, come riflessi in uno specchio, ma abbiamo coscienza di noi, sentiamo le esperienze soggettivamente e abbiamo di noi un’immagine “d’insieme”. Secondo Scott McCloud l’affinità fra essenzialità del cartoon e auto-consapevolezza sta alla base dell’immediatezza con cui ci proiettiamo nei personaggi dei fumetti, immedesimandoci in essi e facendoci quindi coinvolgere nelle loro vicissitudini.

Eppure, per coinvolgerci, il fumetto gioca non solo la carta dell’immedesimazione, ma anche quella della stimolazione dei sensi. Scott McCloud analizza in particolare la valenza delle immagini cartonistiche e di quelle realistiche nel fumetto giapponese: una spada, per esempio, è rappresentata in modo cartonistico quando vale come estensione del protagonista, e quindi come elemento che intende attivare in noi il meccanismo dell’identificazione; mentre è rappresentata in modo realistico, quando siamo chiamati a osservarla come un oggetto a noi esterno (per esempio per studiarne un’iscrizione funzionale al progresso della storia). La scelta stilistica ha una precisa valenza comunicativa.

Quando una vignetta fa leva sul potere oggettivamente dell’immagine realistica, per esempio quella di sfondo, essa sollecita non solo la vista, ma – attivando la nostra immaginazione – anche tutti gli altri sensi, facendoci vivere un’esperienza multi-sensoriale, immersiva e potenzialmente sinestetica.

Se il gioco fra immagini cartonistiche e realistiche attirano l’attenzione, favoriscono immedesimazione, immersione multi-sensoriale e coinvolgimento, è tuttavia il meccanismo della closure che fa del fumetto un alleato della memorizzazione e dell’apprendimento.

La closure è il meccanismo per cui osservando le parti cogliamo il tutto.

Come abbiamo visto, il fumetto è una sequenza intenzionale di immagini statiche, ovvero di frammenti separati, per esempio, da cornici, spazi bianchi, balloon e didascalie, cesure interne a un’immagine continua, ecc.

Quando guardiamo/leggiamo un fumetto, i separatori fanno scattare in noi la molla che ci induce a trasformare attivamente la sequenza spaziale dei frammenti nel tutt’uno della sequenza temporale della storia, fatta di movimento, ma anche di suono. Perché la narrazione si completi, il lettore deve (volere) diventare complice del fumettista.

La partecipazione attiva e l’uso dell’immaginazione per (ri)creare la (propria) storia non solo ci fanno sentire coinvolti e stimolati in modo multi-sensoriale, ma favoriscono anche la memorizzazione e quindi l’apprendimento, proprio perché, a partire dagli indizi frammentari fornitici dal fumettista, siamo noi a creare attivamente la storia, a farne un’esperienza viva.

Se usato sapientemente, il fumetto può essere quindi un utile strumento di edutainment da integrare nella comunicazione tecnica e di prodotto più classica.